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La paura di invecchiare

La paura di invecchiare è un sentimento molto diffuso, esteso tanto alla popolazione femminile quanto a quella maschile, ed è sicuramente una paura molto, ma molto, umana…

La paura di invecchiare
La paura di invecchiare

La paura di invecchiare è un sentimento molto diffuso, esteso tanto alla popolazione femminile quanto a quella maschile, ed è sicuramente una paura molto, ma molto, umana. Però non tutti reagiscono allo stesso modo a questa paura, a volte quest’ultima può prendere forme che si avvicinano alla patologia, ed in questi casi bisogna cercare aiuto. Di paura di invecchiare abbiamo parlato con la Professoressa Maria Paola Graziani, psicologa e psicoterapeuta, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).

Quando si parla di paura di invecchiare si tende ad associarla alla donna, mentre non se ne parla molto al maschile. In che modo la paura di invecchiare è diversa nella donna e nell’uomo?

Prima di entrare nella risposta vera e propria occorre distinguere non solo fra uomo/donna, ma anche fra la “prima vecchiaia” o della terza età, e la “grande vecchiaia” o della 4 età (oltre gli 80anni +/-). L’allungamento della vita, recentemente apparso nella società dei consumi, è uno dei fattori che ha influito a rendere precoce questo così detto stato di “paura della vecchiaia”, già molto prima della terza età.

Come sempre nei fatti della vita non si può generalizzare, ma per sommi capi si può dire che la paura è sempre un effetto che consegue “fatti” “eventi” “emozioni”, in genere imprevisti e che, comunque, ci appaiono devastanti. L’invecchiare invece, se il termine di vita non si presenta in età “giovane”, non solo è prevedibile, ma è anche un fenomeno naturale e inevitabile e, essendo ampiamente conosciuta e prevedibile, dovrebbe convivere con la vita, non destare paura.

Collettivamente, per molti secoli è andata abbastanza così, nel senso che la paura della vecchiaia era inserita in un certo range di accettazione sociale e si presentava, in base a stili di vita e salute, più o meno, per tutti, ad un certo stadio della vita abbastanza omogeneo.

Nel nostro secolo invece, l’ evento è stato riconsiderato.
Le cause? Fra le molte, una diversa cultura dei valori e disvalori della vecchiaia, una diversa attribuzione a fattori come l’identità fisica, sociale e relazionale più rappresentata dalla capacità di consumare beni superflui, con attribuzioni di importanza, più che per il loro valore d’uso, per le emozioni che possono suscitare.

Per secoli, i gruppi sociali sono stati solidali, nel vivere, dedicando parte notevole delle loro energie agli altri (familiari soprattutto) ritrovando in ciò parte della propria identità scandita da tradizioni e culture ( madre, padrona di casa, padre , sostegno economico ecc) In tali contesti la vecchiaia veniva associata al riposo, all’esperienza, al ridare tempo alle proprie abitudini e, una volta ” vecchi” (donne o uomini), si restava all’interno del gruppo familiare e sociale. Al limite, preoccupandosi di non divenire un peso agli altri nel perdere progressivamente le proprie abilità e autonomie.

Nel secolo post 900, il pensiero sociale collettivo, per via delle scoperte tecnologiche, ha visto diminuire la fatica fisica del lavoro, sia con l’introduzione di macchine, sia con l’impiego di mezzi di trasporto, di conservazione e preparazione degli alimenti ecc., donando più tempo alle persone. Queste, hanno cominciato ad impiegarlo più per se stesse che per gli altri. Col passare degli anni, i modificati stili di vita e alimentari, il maggiore benessere economico e della salute, hanno influito su alcuni fattori sociali che hanno privilegiato e messo al centro delle aspettative, l’affermazione di sé attraverso la capacità di produrre. A tutto ciò ha fatto eco il successo, il danaro e il possesso delle cose, come forma di identità accessoria e, in alcuni casi, anche sostitutiva.

Queste componenti sociologiche non per tutti, ma per molti, hanno contribuito a far percepire la vecchiaia “in anticipo”, e anche come fantasma negativo che sottrae molti di questi benefit.

Il tutto ha influito nel prolungare lo stadio del narciso che è in noi e che, una volta superata infanzia e giovinezza, dovrebbe esaurirsi o rivelarsi solo come sana attenzione al proprio Sé.

Il narcisismo è un concetto molto complesso qui non esauribile, ma in queste circostanze appena sopra accennate ha trovato un terreno favorevole. Indipendentemente dagli specifici disturbi di personalità narcisista caratterizzati (secondo il DSM o Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) da indicatori come reazioni sproporzionate di rabbia di fronte ai rimproveri, grandiosità di aspettative e bisogno di sentirsi unici e degni solo di amore, dedizione e ammirazione, serpeggia comunque nella società post moderna un certo clima che illumina e rinforza questi tratti e atteggiamenti. Uno per tutti la forte centralità del corpo, il culto dell’immagine, l’uso di artefatti che rendano le forme fisiche abbastanza uniformi e di aspetto “giovane”, come ben si vede nelle pubblicità o per le persone “pubbliche” e del mondo dello spettacolo.

Infine, le grandi urbanizzazioni che hanno assorbito individui da paesi e borghi, privilegiando, la centralità del soggetto, hanno ridotto la ricerca di relazione con valore di per sé, che era stata centrale nel microcosmo del “piccolo borgo antico”.

Complici altri fattori come la ridotta o spenta arte manuale, il minore spazio offerto alla creatività, il minore valore dato alle esperienze acquisite e allo studio, la vecchiaia, che coincide con ridotta produzione di guadagno e beni e, a volte, anche di idee, è stata relegata fra le paure e i traguardi da raggiungere “mai”!.

In questo clima sociale, l’età che denuncia la vecchiaia entra anche nel lessico popolare come esperienza negativa e le persone vengono ridefinite più per categoria (“vecchio” o “vecchia”) che per qualità ( persona allegra, gioviale, delusa, triste alta, bassa ecc) e, contrariamente al passato, raramente i soggetti vecchi, vengono assorbiti dal gruppo, anzi, spesso espulsi dal carosello del quotidiano e relegati fra “coetanei”.

In questo quadro la donna, che, per motivi di biologia, invecchia prima dell’uomo, si sente molto precocemente a rischio e , spesso, interviene già dopo i 40 anni se non prima, per rallentare, se non cancellare, i primi segnali del processo di invecchiamento a cominciare dal naturale incrinarsi di tensione della pelle e della lucentezza dello sguardo, fino ai meno precoci ma inarrestabili attacchi all’armonia delle forme e dell’incedere. Per questa battaglia ben vengano le “armi” offerte dalle scoperte tecnologiche e dalle nuove proposte di un sociale che, collettivamente, privilegia, in modo spesso esasperato, chirurgia plastica, medicina estetica, saune, palestre, ecc.

La pubblicità stessa, come il linguaggio comune, evitano di mostrare e parlare della vecchiaia. Se necessario, la ripropongono inserendola nei fattori di utilità e con potenziale potere di spesa e consumo (offre servizi nella cura e gestione di nipoti e figli pur adulti, desiderosa di viaggi, utente di pannoloni, dentiere, creme, ecc. ecc.).

La moda, non tiene più in conto che il corpo cambia “intorpidendo e ingrassando” ( per via di molti fattori fra i quali la maggiore staticità e il maggiore introito calorico ) ed espelle i “vecchi” dai negozi “brand”, proponendo taglie sempre più piccole. Molta parte del genere femminile, per rientrare nei parametri di accettazione collettiva agevolata da strumenti di abbellimento, migliori e più raffinati di quelli del passato, corre ai ripari con diete fai da te, dimagramenti irrazionali ecc. con buona pace del grande proliferare di centri benessere e di estetica.

L’uomo, anche lui coinvolto nel clima sociale accennato, dopo aver rincorso con molta lentezza questo meccanismo, ora è quasi alla pari del “gentil” sesso.. Le calvizie vengono trapiantate, la pelle viene depilata, i colori vengono ridati con creme e fard adattati dalla cosmesi maschile. La palestra, gli energy drink , associati ad esasperate diete iperproteiche, fanno il resto.

Resta la sessualità. La donna la recupera spesso con meccanismi di apparente ringiovanimento e raggiunto paritario sentimento dell’eros. L’uomo, utilizzando vari farmaci e protesi, nasconde le eventuali impotenze di erezione che, a se stesso, lo raccontano perdente e ingaggia, anche lui, con varie strategie, una vigorosa lotta anti age: da quelle commerciali come creme, medicina estetica, integratori ecc a quelle “emozionali” come la ricerca della “compagnia” di donne molto più giovani, per allontanare il fantasma di un temuto invecchiamento incombente e la conferma ai suoi bisogni di essere ancora desiderato e necessario. La donna più giovane, in questo tipo di relazioni, non certamente nuove, esaudisce, come sempre, alcuni suoi bisogni di tipo concreto (danaro o beni ) o immateriale (da un maggior “potere” risultato della dipendenza e fragilità di un partner spesso invischiato in paure di abbandono, al ricevere iper attenzioni o ampliamento delle esperienze culturali e sociali che i più “grandi” in genere accumulano ecc.). Accade anche il contrario ovviamente, e il sociale in questo, è per fortuna ormai meno conformista e meno critico, ristabilendo una parità fra i “sessi”, prima insperabile.

In sintesi dunque, per rispondere al quesito iniziale, si può dire che non si riscontra molta differenza tra i due sessi verso la “paura” tal quale. Resta invece, rispetto all’avanzare dell’età, la difformità di questa “ansia” in rapporto a costumi e abitudini e tradizioni sociali.
Al proposito ricordiamo che, nel linguaggio popolare, a parità di età (40/50 ) una donna single viene più facilmente associata allo status “datato” di “zitella” con connotazioni negative, mentre un uomo, con accezioni non negative, è “scapolo” o “single” o, più datato, “libero”.
Ugualmente accade che mentre un uomo fino ai 60 anni +/- sia spesso argomentato, se del caso, come “un bell’uomo”, una donna già a 50, viene osservata in base ad una ipotetica età e “assolta” con generici :”se li porta bene”.

Ultimo ma non ultimo, spesso troviamo associato alla parola “vecchia” ridefinizioni di buona memoria favolistica del tipo megera o strega, mentre il “vecchio mago”, compare spesso come saggio, sapiente, sciamano.

Si tratta di una paura ‘normale’ e diffusa in maniera omogenea, oppure ci sono delle persone che ne soffrono più di altre?

Come detto dobbiamo distinguere la prima vecchiaia o della terza età, da quella della quarta (oltre gli 80anni +/-). La differenza nella vecchia “grande”, è molto bassa tra i due sessi perché, per entrambi, in genere, le strategie di mascheramento sono meno utilizzabili come ben rappresenta il favolistico specchio delle “mie brame ” che contrapponendosi alla vera giovane armonia, evidenzia l’atavico timore associato più che al rimpianto, alla perdita di potere, affetti, relazioni, salute e beni e, infine, della morte.

Per contro, la vecchiaia della terza età rivela, invece, la paura di perdere la propria immagine “vincente” di giovane più che la paura della “fine”. Ciò è in gran parte dovuto al fatto che, in questo stadio, visto che nel parlare comune, il termine “giovane” definisce anche persone di 40 e oltre anni, si tende ad intravedere, più che la “paura” gli spiragli contro il suo incalzare, complice anche la “perfetta macchina da guerra” del “benessere fisico”, dalle SPA ai centri benessere, che, in modo capillare e seduttivo, propone molti artefatti abbordabili da tutti senza differenze di gender e status sociale e per tutte le tasche.

Come reagisce la maggioranza delle persone alla paura di invecchiare? quali i meccanismi di difesa più diffusi e comuni?

Nella prima risposta ne abbiamo citati alcuni: negarla (cure, trucchi, abbigliamento, acconciature, strategie di uso del tempo libero ecc.), ma non si possono creare categorie più o meno funzionali perché ognuno ha le sue strategie in rapporto ai propri tratti caratteriali, cultura personale, libertà sociale, emancipazione dagli stereotipi, appartenenza a gruppi sociali che possono essere più o meno accoglienti e/o moderatamente o fortemente conformisti, abitudini sociali, tradizioni ecc.

Al proposito, è interessante notare come diversamente è vissuta oggi la vecchiaia e il confine di età nel quale appare da consolare, riscoprendo le argomentazioni della poesia del 1882 di Edmondo De Amicis

A MIA MADRE

“Non sempre il tempo la beltà cancella
O la sfioran le lacrime e gli affanni;
Mia madre ha sessant’anni,
E più la guardo e più mi sembra bella…….
Omissis

Vorrei poter cangiar vita con vita,
Darle tutto il vigor degli anni miei,
Veder me vecchio, e lei
Dal sacrifizio mio ringiovanita.

Quando l’avere paura di invecchiare passa dall’essere una cosa ‘normale’ ad una condizione patologica?

Ogni volta che dalla scontata tensione verso il cambiamento, si transita fino ad esagerarla ed arrivare a una “fobica” esasperata paura magari anche accompagnata dalla ossessiva, ripetuta e incontentabile ricerca di stratagemmi per allontanarla dalla mente (come già detto, eccesso esasperato di strategie cosmetiche o chirurgiche o diete o lifting, farmaci, ma anche isolamento e/o maniacale ricerca di nascondere l’età ecc.). In tali casi possono associarsi stati di panico, con chiari sintomi di uno stato psichico che è fuori dal cerchio della quotidiana tensione. In tali circostanze ci si inoltra in paure allargate o idee ricorrenti, verso un confine comunque incalzante e da contenere con aiuti clinici di vario livello..

Come convivere con questa paura, e cosa fare quando inizia a diventare un problema? A chi ci si deve rivolgere?

Mai convivere con le paure, sempre indagarle, affrontarle e, magari, ove possibile, risolverle, ricercando, dove da soli sia possibile, una lucida e ragionevole accettazione con messa in campo di strategie comportamentali come, non isolarsi, chiedere e integrare le proprie con le altrui forze, ridurre le aspettative di cavarsela sempre e comunque da soli, parlare con maggiore serenità di sé e del proprio status in divenire, utilizzare l’umorismo, ridurre o contenere l’ aggressività o stati di eccessiva tristezza …ecc.

Quando tutto ciò fosse molto difficile da gestire e la tensione, nonostante i piccoli o grandi impegni a renderla morbida e contenuta, ci sfuggisse di mano e si presentasse appunto come paura, panico o estrema tristezza, inizialmente sarebbe bene rivolgersi al proprio medico per valutare se, in prima istanza, sono consigliabili cure mediche e / o farmaci. Se del caso , potrebbe emergere l’utilità di affiancare alla cure, anche incontri con psichiatri o psicologi preparati a terapie di supporto che, ormai, con il fiorire di nuove scuole, sono in grado di rispondere ad ogni richiesta, purchè formulata e ricercata.

Quest’ultimo punto sembra ovvio, ma spesso non lo è ed anzi, è un punto dolente, perché il soggetto, per una sorta di inganno inconsapevole, tende a non esprimere il proprio stato di tensione emotiva ritenendosi perdente. Accade così che, anziché rivelare con naturalezza la propria parte ansiosa, la trasformi in finzione, aggressività, potere di controllo su persone e fatti e utilizzi di maschere di vario tipo come l’euforia eccessiva o il suo contrario, o la negazione, l’isolamento ecc.

Ringraziamo la Professoressa Maria Paola Graziani, psicologa e psicoterapeuta, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).

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