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Anoressia, bulimia, dismorfofobia. Quali le cause, come si curano

Essere magre spesso non significa essere anoressiche. Non è tanto un criterio diagnostico il peso quanto il rifiuto di mantenere o raggiungere il peso appropriato per età e genere e rimanere sotto il BMI.

Anoressia, bulimia, dismorfofobia. Quali le cause, come si curano
Anoressia, bulimia, dismorfofobia. Quali le cause, come si curano

Anoressia, bulimia, dismorfofobia… termini più o meno familiari che riguardano una serie di gravi, talvolta gravissimi problemi che affliggono la psiche e il fisico di moltissime persone. Quasi sempre ragazze. Abbiamo intervistato la Professoressa Laura Bellodi, Professore ordinario di psichiatria presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e le abbiamo posto alcune delle domande che più frequentemente riceviamo dalle lettrici di Margherita.net. Ecco cosa ci ha risposto.

Pur essendo anoressia e bulimia due problemi che colpiscono sia la popolazione maschile che quella femminile, appare evidente che le ragazze e le donne ne sono colpite più frequentemente rispetto agli uomini. Perché?
In effetti il rapporto di malati secondo il genere è intorno a 10:1 a favore dei maschi.

Fattori di natura diversa sono alla base di questa realtà, alcuni di tipo prettamente socio – ambientale, altri di tipo individuale – biologico. Per quanto riguarda fattori socio culturali bisogna rifarsi alla realtà di una pressione (sostenuta dai media, dall’industria della moda etc) esercitata sul genere femminile.

Questa pressione sostiene come valore primario l’ideale di magrezza nel quale sarebbero “racchiusi” i valori di bellezza, fascino, successo etc etc. La medesima pressione declinata al maschile propone non tanto un’immagine di MAGREZZA quanto un’immagine di “muscolosità scolpita” in palestra. Fattori individuali biologici che costituiscono l’elemento predisponente, cioè il terreno sul quale attecchiscono gli elementi sopraccitati, si rifanno alla ormai ben identificata predisposizione genetica ereditaria di questi disturbi. L’elemento centrale di questa familiarità si esprime con l’appartenenza a famiglie nelle quali si è manifestato anche il disturbo ossessivo-compulsivo

C’è un’età nella quale questi disturbi si manifestano più frequentemente, oppure si tratta di disturbi che possono manifestarsi in qualsiasi momento della vita di una persona?
L’età di esordio dei sintomi dei disturbi alimentari è l’adolescenza, in casi meno frequenti anche prima del menarca, cioè prima dello sviluppo sessuale.

Forme di esordio più tardive, addirittura intorno ai 40/50 anni di solito ben indagate in senso anamnestico, rivelano una storia di episodi adolescenziali subclinici risolti spontaneamente all’epoca e successivamente riacutizzati in un’epoca della vita che riattiva conflitti, necessità di consolidare un’immagine di sé “giovanile”

Si parla spesso del rapporto con la madre quale ‘concausa’ del problema dell’anoressia. Le chiediamo innanzitutto se è vero che nel rapporto con la madre vada ricercata una delle cause dell’anoressia, e se sì, cosa è che non funziona nel rapporto con la madre da causare un problema tanto grave, complesso e difficile?
Coloro che negli anni ’60 avevano cominciato a studiare il fenomeno dei disturbi alimentari, in particolare l’anoressia, sotto il profilo del contesto familiare nel quale si manifestava il disturbo in giovani adolescenti, aveva avuto modo di osservare caratteristiche che più o meno puntualmente si ripresentavano in ciascuna famiglia.

Ovviamente le interpretazioni che di tali osservazioni potevano essere fatte chiamavano in causa elementi di causalità non certo dimostrabili scientificamente ma piuttosto verosimili. In questo senso la qualità della relazione madre-figlia e padre-figlia entrambe carenti seppure per motivi differenti rispetto al ruolo genitoriale può essere interpretata come condizione che rende ancora più difficile a certi adolescenti il processo di crescita e di maturazione armonica della personalità

L’interpretazione ad oggi però più scientificamente accreditata è che in queste famiglie si manifestino seppure in modo non clinicamente significativo quelle stigmate di rigidità, perfezionismo, freddezza emotiva che esprimono la componente di ereditarietà

Si pensa spesso di conoscere molto bene il problema dell’anoressia, che è anche piuttosto facilmente identificabile ‘visivamente’, mentre la bulimia è forse meno evidente. Può spiegarci in cosa consiste la bulimia e come si manifesta?
Infatti, mentre la paziente anoressica esprime proprio attraverso la propria immagine di magrezza una propria “capacità” e “valore” di resistere alla fame in nome di un ideale da mantenere una volta raggiunto (la patologia del processo mentale è che non basta mai…) la paziente con bulimia appare “normale” in quanto in genere normopeso ma ha profonda vergogna e disgusto di sé per le abbuffate (discontrollo rispetto all’assunzione di cibo) e nasconde anche per anni e anche alle persone affettivamente più vicine i propri comportamenti di eliminazione (vomito autoindotto, consumo di lassativi e diuretici) o ne concede una visione nelle forme meno patologiche come l’esercizio fisico strenuo…

Esistono dei parametri usati in medicina per stabilire quando una persona è ‘anoressica’?
Essere magre spesso non significa essere anoressiche. Non è tanto un criterio diagnostico il peso quanto il rifiuto di mantenere o raggiungere il peso appropriato per età e genere e rimanere sotto il BMI (indice di massa corporea) i cui valori normali sono compresi tra 17,5 e 21 di più del 15%

Ci può aiutare a capire cosa si intende quando si parla di ‘dismorfofobia’ e come questo disturbo possa rientrare nel discorso legato all’anoressia?
Si intende un’importanza esagerata attribuita a presunti o anche reali difetti fisici, esagerata al punto da pregiudicare la qualità di vita (es. appunto innascare diete e digiuni per migliorare l’aspetto fisico)

Quali sono le terapie che garantiscono la più alta percentuale di riuscita nei soggetti anoressici e bulimici, e quanto grandi sono queste possibilità di riuscita?
Premesso che la malattia rimane gravata da una mortalità del 10% (suicidio e/o complicanze mediche) le terapie che hanno la maggior probabilità di successo (remissione della fase acuta) sono quelle che da un lato sostengono la rinutrizione in ambiente protetto e dall’altro sono volte a rinforzare stabilmente meccanismi di funzionamento personale e relazionale più adattivi. I farmaci sono utili non tanto nella fase acuta quanto nella prevenzione delle ricadute. Grazie

Margherita.net

Si ringrazia la Professoressa Laura Bellodi
Professore ordinario di psichiatria presso l’Università Vita-Salute San Raffaele

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